2021-04-08

Lettura crititca del nuovo Protocollo Covid-19 (06.04.21)

 Inspiegabilmente il Protocollo del 6 aprile 2021 non tiene conto della distanza interpersonale raccomandata di 2 metri, inidicata nel rapporto dell'Istituto Superiore di Sanità del 13 marzo 2021. La mancanza merita di essere approfondita soprattutto in relazione al fatto che il rapporto era stato emesso dall'ISS, in collaborazione con INAIL e diverse Università, allo scopo di fornire specifiche indicazioni di riferimento per l’implementazione delle strategie di prevenzione e controllo dei casi di COVID-19 sostenuti da varianti virali.
Nel Protocollo, permane inoltre l'incoerenza del richiamare al rispetto della distanza di 1 metro quando la definizione di contatto stretto fa riferimento ad una distanza inferiore a 2 metri (link per approfondimenti).
Il nuovo Protocollo riprende sostanzialmente il precedente, modificando le indicazioni relative a trasferte nazionali ed internazionali: nel primo protocollo, le trasferte erano sospese o annullate, mentre nell'aggiornamento viene specificato che "è opportuno che il datore di lavoro, in collaborazione con il MC e il RSPP, tenga conto del contesto associato alle diverse tipologie di trasferta previste, anche in riferimento all’andamento epidemiologico delle sedi di destinazione". Gli estensori del documento non tengono conto che la legislazione vigente in Italia, da diversi decenni, prevede l'obbligo - non l'opportunità! - di valutare i rischi per tutte le attività lavorative e che per tale valutazione è prevista, oltre allla collaborazione di RSPP e Medico competente, richiamata dal Protocollo, anche la consultazione dei lavoratori per il tramite del loro rappresentante (RLS), specificatamente formato in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Del resto, sia nel titolo come nel resto del testo, il nuovo Protocollo fa banalmente riferimento a "virus SARS-CoV-2/COVID-19" ignorando quella distinzione terminologica tra pericolo e rischio che è alla base della cultura della prevenzione.

2020-10-07

09/10/2020 - Corso su gestione rischio Covid-19 in azienda

Parte I - Analisi e valutazione

Docente: Ing. Nicola Benedetti (RSPP, Lead Auditor ISO 45001, iscritto n. 6 nel Registro CEPAS Esperti Gestione Covid)

Programma: Quadro normativo di riferimento. Fattori di rischio e criteri di valutazione. Valutazione dei rischi. Coordinamento con gli appaltatori. Relazioni con sistemi di gestione aziendali e modelli organizzativi.

Parte II - Prevenzione e protezione

Docente: Dott. Fulvio Camplone (già Primario di Medicina del lavoro)

Programma: Il contagio da virus e i suoi effetti. Lavoratori fragili. Sorveglianza sanitaria. Tutela dei lavoratori addetti al primo soccorso e gestione di caso sintomatico in azienda. Rapporti con il Medico competente.

Sede di svolgimento: Pescara (con possibilità di collegamento da remoto).

Corso valido come aggiornamento per RSPP e RLS. Per informazioni contattare Studio Benedetti.

2020-04-11

Proposta di aumento a 2 m del distanziamento COVID19

  In vista della prossima edizione del Protocollo nazionale contro il rischio COVID19 negli ambienti di lavoro, propongo a datori di lavoro e servizi di prevenzione e protezione di valutare l'estensione a 2 m della distanza minima interpersonale.

  L'estensione del distanziamento di un ulteriore metro, rispetto a quello richiesto dal Protocollo del 14.03.20, potrebbe avere un costo organizzativo irrilevante, a fronte di importanti vantaggi in termini di riduzione del rischio e aumento della capacità di business continuity dell'azienda.

  L'adozione di una distanza interpersonale di 2 metri porterebbe a ridurre gli eventuali casi di quarantena: secondo l’Ordinanza del 21.02.2020 del Ministero della Salute, è fatto obbligo di applicare la misura della quarantena con sorveglianza attiva per 14 giorni agli individui che abbiano avuto contatti stretti con casi confermati di COVID-19 e, tra i casi di esposizione che definiscono i contatti stretti, sono individuati anche le seguenti circostanze, piuttosto verosimili negli ambienti di lavoro:
  • una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti; 
  • una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d'attesa dell'ospedale) con un caso di COVID-19 per almeno 15 minuti, a distanza minore di 2 metri;  
  Mantenendo, in azienda, una distanza sempre superiore a 2 metri, nel caso malaugurato di contagio di un lavoratore, le altre persone interessate non risulterebbero automaticamente obbligate alla quarantena con sorveglianza attiva per 14 giorni, come invece accadrebbe rispettando l'attuale obbligo di legge di distanza superiore a 1 metro.
  Inoltre, prevedendo l'uso della mascherina a distanze inferiori a 2 metri, la probabilità di contagio per i contatti stretti verrebbe comunque ridotta rispetto alla situazione attuale.
  La distanza di 1 metro potrebbe essere consentita solo per momenti brevi, ad esempio per lo scambio di documenti o pagamenti, e comunque per tempi inferiori a 15 minuti.
  In sostanza, il distanziamento interpersonale negli ambienti di lavoro si traduce nel non avere interazioni fisiche dirette per lo svolgimento dei singoli compiti e questa circostanza, se realizzabile, può generalmente essere garantita tanto con la distanza di 1 metro quanto con la distanza di 2 metri, pur essendo le due condizioni di rischio assai differenti.

2020-03-18

Covid-19 e valutazione dei rischi in ambienti non sanitari


A partire dall'emergenza Corona virus in Italia, si discute tra specialisti in salute e sicurezza sul lavoro, in merito all'opportunità o obbligatorietà dell'aggiornamento del documento di valutazione dei rischi in tutti i luoghi di lavoro, in particolare in relazione al rischio biologico.
Sul tema sembra essere stato raggiunto un punto di chiarezza con il documento Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro del 14/03/2020, favorito dal Governo e sottoscritto dalle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori. Nella premessa al documento si legge che:
L’obiettivo del presente protocollo condiviso di regolamentazione è fornire indicazioni operative finalizzate a incrementare, negli ambienti di lavoro non sanitari, l’efficacia delle misure precauzionali di contenimento adottate per contrastare l’epidemia di COVID-19.Il COVID-19 rappresenta un rischio biologico generico, per il quale occorre adottare misure uguali per tutta la popolazione. Il presente protocollo contiene, quindi, misure che seguono la logica della precauzione e seguono e attuano le prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria.

Sull'obbligo di un documento di valutazione del rischio Covid-19
L'aggiornamento del documento di valutazione del rischio biologico deve essere effettuato per gli ambienti di lavoro sanitari, mentre, in generale, negli altri ambienti di lavoro, non è necessario, in quanto il rischio di contagio non caratterizza l'ambiente, le attività, le sostanze, i lavoratori o altri persone eventualmente presenti, o almeno, allo stato attuale, non lo caratterizza in misura maggiore o diversa da quanto avviene per i luoghi di residenza della popolazione. Per gli ambienti di lavoro non sanitari si tratterebbe quindi di garantire l'attuazione delle prescrizioni del legislatore e le indicazioni dell’Autorità sanitaria come presentate nel Protocollo sanitario.
Secondo alcuni tecnici della salute e sicurezza sul lavoro e rappresentanti sindacali dei lavoratori, la revisione del documento di valutazione del rischio biologico o l'emissione di un documento di valutazione sul rischio Covid-19 è necessaria in forza dell'art. 17 c. 1 lettera a) del D.Lgs. 81/2008 che richiede la valutazione di “tutti i rischi” per la salute e la sicurezza sul lavoro. 
Il documento sarà ritenuto adeguato da questi tecnici – credo – se riporterà le indicazioni del Protocollo nazionale del 14/03/2020 e questo dovrebbe illuminarci su un errore nella richiesta ai datori di lavoro di una valutazione specifica Covid-19 che forse deriva da un approccio esclusivamente esperenziale sulla gestione dei documenti e che sembra aver smarrito i principi ispiratori della salute e sicurezza sul lavoro i quali attendono non solo alla tutela dei lavoratori, ma anche ad un miglioramento delle condizioni di lavoro.
Infatti non è possibile elaborare un documento di valutazione del rischio Covid-19 in un ambiente non sanitario con un contenuto pienamente conforme all'art. 28 del D.Lgs. 81/2020 che, come noto agli addetti al settore, richiede, sin dalla prima introduzione dell’obbligo di legge, che il documento di valutazione dei rischi contenga una relazione con i criteri seguiti per la valutazione, le misure di prevenzione e protezione attuate e il piano delle misure ritenute opportune per il miglioramento. Nel caso in esame, il documento si limiterebbe invece alla riproduzione delle misure indicate nel Protocollo nazionale.

Documento di valutazione dei rischi per gli ambienti di lavoro non sanitari
Negli ambienti di lavoro non sanitari, il riesame della valutazione dei rischi deve essere effettuato non tanto in relazione al nuovo pericolo Covid-19 (in fase di studio da parte della comunità scientifica e di contenimento da parte delle Autorità), quanto piuttosto in relazione alle mutate condizioni di lavoro derivanti dall’epidemia in corso, cogliendo così l’impatto sui rischi per il lavoratore nello specifico contesto aziendale. Il documento di valutazione dei rischi aziendale deve quindi essere riesaminato completamente, non solo per la parte relativa al rischio biologico, ma anche per gli altri rischi che possono essere variati, in relazione, ad esempio, al minor numero di persone presenti in azienda, al loro maggiore distanziamento e alle diverse modalità di comunicazione e di organizzazione del lavoro. In assenza di variazione degli altri rischi, le misure di prevenzione e protezione adottate devono comunque essere riesaminate in termini di compatibilità con le misure adottate con riferimento al Protocollo nazionale, verificando, ad esempio, la compatibilità dei DPI e i rischi per la salute associati alla gestione degli stessi. Deve inoltre essere riesaminato, il piano di emergenza (art. 43 del D.Lgs. 81/2008), in modo da garantirne la piena attuabilità in sicurezza, nelle mutate condizioni di lavoro, e nei nuovi scenari di emergenza prevedibili, come quello relativo all’arrivo in azienda di una notizia sospetto contagio.

Aspetti etici della valutazione dei rischi durante l'epidemia
Il dibattito sulla necessità di elaborazione del documento sul rischio Covid-19 rischia di nascondere la prima e più importante valutazione dei rischi che il datore di lavoro è tenuto ad effettuare e che è quella relativa alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale in regime di epidemia. Il DPCM 09.03.2020, tuttora in vigore, estende a tutto il territorio nazionale le limitazioni, già definite per un’ampia zona del Nord Italia dal DPCM del 08/03/2020, autorizzando gli spostamenti delle persone solo se motivati da comprovate da esigenze lavorative, condizioni di necessità o motivi di salute. Ritengo non adeguata la comparazione tra le esigenze lavorative, che attengono la sfera economica e motivazionale, con le condizioni di necessità o i motivi di salute, che attengono i bisogni essenziali delle persone. Nel caso di comprovate esigenze lavorative come motivazione per lo spostamento dei lavoratori, l’impatto potenziale del rischio valutato dal datore di lavoro che comprava l'esigenza si estende alle famiglie e ai contatti sociali dei lavoratori. Credo pertanto che la questione vada esaminata con molta attenzione, sia da parte dei datori di lavoro che del legislatore, il quale rischia così di trasferire di fatto ai datori di lavoro valutazioni che hanno un impatto potenziale diretto e grave sulla collettività.
Da un punto di vista etico, la valutazione del datore di lavoro dovrebbe considerare anche i rischi di contagio da parte dei lavoratori con la popolazione durante il trasferimento da e per l'azienda e il potenziale impatto sulla disponibilità di specifici DPI per gli operatori sanitari: alcune aziende hanno lanciato un appello di solidarietà alle aziende che hanno disponibilità di DPI affinché li possano mettere a disposizione dei sanitari che al momento ne lamentano la carenza.

Covid-19 e il processo di valutazione dei rischi
Volendo delineare un flusso decisionale nel processo di valutazione dei rischi durante l’epidemia, il datore di lavoro dovrebbe:
  1. valutare il proseguimento delle attività dell'azienda in generale;
  2. individuare e sospendere, in conformità al Protocollo nazionale, quei processi che non sono strettamente necessari alla produzione;
  3. individuare ed adottare misure atte a garantire che le persone non si trovino, anche accidentalmente, a distanze di un metro l’una dall’altra ed adottare, nel caso questa distanza non può essere garantita, mascherine di protezione (l'utilizzo delle mascherine dovrebbe essere controllato e ridotto al minimo indispensabile, sia per i motivi etici sopra richiamati sia per conformità ai principi generali di sicurezza che prevedono la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale);
  4. in relazione alle modalità di lavoro stabilite, devono essere attuate tutte le altre indicazioni del Protocollo nazionale, inerenti sostanzialmente lavaggi, sanificazione, comunicazioni e formazione;
  5. riesaminare ed aggiornare sia il documento di valutazione dei rischi che il piano di emergenza.
Questa è valutazione dei rischi. Il datore di lavoro e i suoi consulenti, il RSPP e il Medico competente in primis, sono ora chiamati ad una valutazione molto difficile che ha un impatto potenziale su tutta la popolazione. Ognuno, compresi i lavoratori e l’intera comunità, è chiamato a collaborare affinché i processi necessari a superare l’epidemia in corso si svolgano con il miglior risultato possibile.


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2020-03-15

Sorveglianza sanitaria dei lavoratori durante l'emergenza Covid-19

Diverse Regioni hanno emanato ordinanze per la sospensione o il rinvio delle visite periodiche nell'ambito della sorveglianza sanitaria dei lavoratori. Oltre a un aspetto di legittimità, si pone anche una questione di compatibilità con il Protocollo nazionale, condiviso da associazioni datoriali e sindacali e favorito dal Governo, che sul tema recita: "la sorveglianza sanitaria periodica non va interrotta, perché rappresenta una ulteriore misura di prevenzione di carattere generale: sia perché può intercettare possibili casi e sintomi sospetti del contagio, sia per l’informazione e la formazione che il medico competente può fornire ai lavoratori per evitare la diffusione del contagio". 

Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavorohttp://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4237

Esempi di disposizioni regionali in contrasto con il Protocollo: